|
Recensione di: Franco Basile.
E' facile immaginare Eugenio Galiano intento a cogliere i margini del tempo e della luce in un contesto che lo vede inquieto testimone, o accorato partecipe, da una vita intera.
La Sila, prolungate dorsali boscose, larghi abbandoni di verde e brusche impennate sotto le nubi; oppure liquidi chiarori avvicinati a nastri erbosi, poggi da cui spingere i pensieri in una divaricazione poetica che include il senso lirico del colore e la misura epica dell'ideale classico.
E muoversi in piena libertà, assecondando una sorta di commozione interiore, seguendo sempre il segno intimo di una luce sottile, eludendo infine il mero descrittivismo e la secchezza delle teorie.
Eugenio Galiano al lavoro nei boschi della Sila catanzarese
Natura e oggetti, elementi di uno scenario fermo e solenne nella sua mutevolezza; visioni e pensieri come alimento di un racconto senza fine, la riscoperta, nella verit… dell'ambiente e delle cose, delle norme di un'armonia universale, quelle norme che legano la vicenda umana a quella della natura.
E' facile immaginare Galiano sotto i riflettori di una lontana elegia, avvolto dallo stesso crepuscolo che rende i toni dell'esistenza un grande telo caliginoso.
Il tempo che si fa invenzione dell'uomo, un calendario che è come un cerchio dove la fine è pure inizio, cadenze ritmate che segnano il passaggio dei giorni, immagini e sensazioni che non sono mai le stesse sebbene il sole nasca e cali così, indefinitamente, in uno scenario raschiato da mille umori.
Come un attonito divagare di eventi scorre, dinanzi agli occhi dell'artista, la striscia dei motivi ispiratori. Albe e tramonti, cieli attraversati da velature azzurre o incisi da tracciati madreperlacei, stellari esclamativi che imbastiscono la parabola della notte.
Fra i grani delle tele, Galiano riporta le sensazioni accumulate nel ripetersi di
questi accadimenti, ed è un rincorrersi di stati d'animo e di urgenze espressive, una luminosa trasposizione indicata dai serial della natura.
Accade così che in queste congiunzioni la vaghezza del passato prenda forme distinte finchè i pensieri si spingono sulle rive del presente, per poi assumere una profonda dilatazione atmosferica.
Teneri sogni di retroguardia, o più correttamente, invariata aderenza a un ripetersi delle cose che è sempre in grado di suscitare, in un animo come quello di Eugenio Galiano, un dolce senso di stordimento e di appassionata interpretazione di quei segnali che già Poussin impaginava con magistrale equilibrio compositivo fino a rendere il senso dell'indefinito una sospesa immobilità.
Alberi, antichi borghi con le case slabbrate dal vento laghi come lastre cerulee nell'orizzonte, fuori, oltre le cornici delle finestre o al limitare dei boschi, la rappresentazione è sempre accompagnata da una luce diversa.
Secondo un'azione che non è automatica, ma in sintonia spontanea con i temi e le circostanze, Galiano legge e traduce le emozioni che scivolano lungo la corteccia di un tronco, trascrive con onesta devozione le indicazioni luminose che attraversano l'aria, si esercita nell'osservazione minima delle cose.
Per questo, il suo è un confrontarsi continuo con le superfici dell'esistenza, un rapporto con le cose e la natura, un modo di intendere la pittura che è anche un misurarsi con i perchè delle distanze infinite che separano le lettere di un perchè.
Il desiderio è quello di dare un ordine razionale all'ansia, di aprirsi un varco nell'ignoto attingendo notizie da quel pozzo inesauribile, e sempre vario, che è la natura.
Ecco il motivo per cui un angolo verzicante si fa emozione, mentre un albero fiorito rientra nel linguaggio delle armonie sentimentali.
La scrittura di Galiano, esito di una franca corresponsione della mano alle intenzioni espressive, è carica di ricordi e di fantasie, di segnali che la realtà circostante alimenta fino a tradursi in una tavola del realismo rarefatto, un mondo sospeso fra straniamento e quotidiano afflato.
Il repertorio del nostro artista è dunque legato alle grandi visioni di sempre, inquadrate però con animo costantemente diverso, in armonia cioè con le cadenze dei pensieri.
Luci, tratti incisi nel cielo, una voluta di fumo, i colori delle stagioni come simboli del tempo. Allora, un tramonto arrossa le pieghe di un mondo che non esiste
più, i poggi intessuti dalla neve sono modulazioni che variano dal bianco di un desiderio di serenità al grigio di un dialogo intrecciato con la malinconia.
E' in questa ottica di significati, o di simboli, che va inquadrata l'attività di Galiano. In particolare il Galiano dell'ultimo periodo, laddove maggiore è l'impegno verso la realizzazione di un linguaggio avulso dalle forme di larga partecipazione e quindi lontano da composizioni implicitamente decorative, insieme veristiche e oleografiche.
Uscire e scegliere cosa vedere nel mondo, dare una particolare intonazione sentimentale agli aspetti della natura. Ma anche scrutare fra le linee di un volto, individuare le trame patinate di un fiore, leggere l'opaco riflesso dello sguardo di un animale ucciso, registrare il senso dell'estinzione con i colori e vivere un ultimo tempo senza sapere perchè.
Paesaggio e natura morta, termini classici che col passare del tempo hanno assunto il sapore di etichette dai contorni sfumati, fino a prendere gli indefiniti toni di oggi.
Quale indicazione offrire dopo la lunga successione delle tendenze e i mille attraversamenti delle avanguardie? Realtà e mimesi, sensazione del vero e indistinto, informe e astrazione.
Dalle sintesi più rapide si è giunti agli alfabeti della cosiddetta aniconicità, e quindi alle pulsioni tradotte da guizzi e cromìe. Così il limite fra un soggetto e l'altro si è fatto vaghezza fino a stemperarsi in un connubio che travalica la semplice classificazione.
C'è stato un tempo in cui il dubbio ha scompaginato a lungo il gusto compositivo di Galiano. Fu in epoca immediatamente successiva al realismo esistenziale, quando già Picasso e il cubismo avevano sensibilmente ridotto il pacato orizzonte novecentista e l'arte, in Italia, si era divisa in campi distinti, quelli del realismo e dell'astrattismo.
Quindi gli anni Sessanta e gli azzeramenti descrittivi, l'informe e l'angoscia, i fatti di ungheria e il lacerante dissolvimento di certi ideali fino a un senso di smarrimento, di protesta esasperata unita all'urgenza etica di sentirsi partecipi di una nuova cultura.
Anni Sessanta, per Galiano uno stacco doloroso dalle certezze di un quieto vedutismo. Viaggi all'estero, una onnivora esplorazione nei musei e la conoscenza in diretta dei movimenti più avanzati.
E' questa una storia esemplare con un intreccio per cosi dire classico: un grande travaglio di fronte alle prospezioni dell'indistinto e a un linguaggio consono ai tremori dell'incomunicabilità, una rinuncia provvisoria all'immagine, un artista piegato sulle memorie in cui si era rifugiato, e alla fine un ritorno ai vecchi temi espressivi sia pur filtrati dai moduli dell'attualità, ma senza palesi contaminazioni se non convergenze con maestri a lui più congeniali, a nomi per lo più del passato.
Del resto i riporti cromatici e costruttivi indicano chiaramente, oltre all'amore per gli impressionisti, un'attenta lettura di De Pisis le cui suggestioni sono indicate in particolar modo negli interni.
Ora il periodo dei viaggi all'estero, delle tele dai larghi piani plastici, delle inquadrature oscure ed espansive, dei rimandi lamellati ai confini dell'astrazione, tutto quanto, insomma, appartiene alle pagine di una travagliata ricerca, è catalogato fra i ricordi che formano il capitolo di un'esperienza che gli è servita per rendere più evidente la necessità di esprimersi in chiaro, con coraggio sa umiltà, diremmo, fedele a un ideale che lo porta ogni giorno a specchiarsi in una luce che vorrebbe senza fine.
Forse, sulla tela che non vuole mai vedere bianca perch‚ gli dà l'impressione di un vuoto immenso, nel reticolo del tessuto velato dalla coscienza di un'impossibile perfezione, in questo schermo calcinato dal presente vorrebbe, forse, imprigionare tutto il tempo che gli resta, e trattenerlo mollemente come se la tela fosse una ragnatela intessuta di rami contro una nuvola alta nel cielo della Sila.
Eugenio Galiano al lavoro nella Sila catanzarese
Recensione di: Jean Pierre Jouvet.
Non c'è dubbio: tutta l'opera pittorica di Eugenio Galiano è un palpitante omaggio alla pittura e agli esseri che le appartengono e dai suoi doni traggono alimento: i lavoratori dei campi, gli animali selvatici, gli uccelli, i pesci.
Una natura però, quella di Galiano, che si ostina a rifiutare gli aspetti deteriori propostici con impietosa insistenza dalla cosiddetta civiltà tecnologico-consumistica del tempo presente, e ci restituisce invece il passato, I'infanzia lontana e dimenticata, con i suoi incantesimi, le sue beatitudini, il suo fascino pastorale.
Guardateli attentamente i paesaggi di Galiano, e le sue nature morte, i suoi oggetti domestici, i suoi fiori. Nessun segno di profanazione e di deturpazione che possa offendere la loro primordiale purezza, la loro lirica nobiltà.
Nei dipinti di questo geniale e inconfondibile artista del profondo sud italiano non si vedono strade asfaltate, automobili, palazzi moderni, fabbriche, impianti elettrici, antenne televisive, complessi turistici; nemmeno una bicicletta, nè un apparecchio telefonico o radiofonico.
Niente, insomma, che non sia coerente con il suo modo di vedere, "sentire" e cogliere la bellezza ineffabile di un patrimonio naturale che ormai per molti, moltissimi, fa parte soltanto della me-
moria o di una letteratura che le nuove generazioni respingono in massa quasi con rabbia.
Eugenio Galiano ci ripropone quel patrimonio perduto nel suo genuino splendore, con tutti i suoi significati etici, spirituali e sociali, con una pittura fiabesca e nello stesso tempo realista, emblematica e documentaria di una civiltà agreste che costituì per secoli - e tuttora costituisce ove ancora resiste - una conquista fondamentale del progresso umano.
Scrisse Leone Tolstoj: "Un'opera d'arte, se proprio è tale, agisce immancabilmente in modo benefico nello spirito e nel cuore di chi la possiede o anche soltanto può contemplarla".
Ebbene, i quadri di Galiano, nella grande maggioranza, ci procurano letizia, serenità, ridestando in noi ricordi nostalgici di beni esistenziali che non possiamo rimpiangere, costretti come siamo ad accettare o subire condizioni di vita di cui la solitudine, I'incertezza, la violenza e il disamore sono soltanto alcuni dei suoi mali.
Un male grande, mostruoso- la seconda guerra mondiale - lo conobbe anche Eugenio Galiano, e fu allora che la sua fervida vocazione pittorica si concretò in una scelta totale e definitiva di impegno creativo e intellettuale.
Dopo aver girovagato tra le macerie delle città italiane distrutte dai bombardamenti aerei, il giovane reduce catanzarese ritrovò, oltre i confini urbani e periferici di quelle città straziate, nelle campagne, sulle colline, lungo i fiumi e in riva al mare, la luce, i colori e la pace che le armi gli avevano sottratto per cinque anni.
Da allora la sua ricerca di un personale linguaggio espressivo, originale ma non rivoluzionario, Š stata costante e risoluta, e sempre tesa al perfezionamento, all'acquisizione di ulteriori requisiti formali, cromatici e contenutistici.
Nella sua feconda ricerca Galiano non ha tuttavia posto preclusioni ed esperienze collaterali di diversa tendenza, particolarmente negli anni sessanta (come dimostrano, fra le altre sue opere, "Testa di vitello"; "Cocomeri", "Pannocchia", "Natura morta subacquea" e "Natura morta marina"), e anche in questo caso i risultati conseguiti sono notevoli.
Numerose e via via sempre più importanti le affermazioni di Eugenio Galiano a partire da quella sua rigogliosa stagione: partecipazione a tre edizioni consecutive della Quadriennale di Roma e ad altrettante del premio Michetti; mostre a Roma, Milano, Torino, Bologna, Palermo, Zurigo, Berna, Francoforte, Monaco, Parigi, New York e in molte altre città italiane ed estere; riconoscimenti critici autorevoli su decine di quotidiani e di periodici; premi prestigiosi.
Un successo meritato, come dimostra anche la sua presenza in rassegne selettive che ebbero vasta risonanza, assieme a protagonisti della pittura contemporanea quali Sironi, Guttuso, Casorati, Ciardo, Puruficato, Maccari Tamburi, Omiccioli, Migneco.
La presente pubblicazione documenta in misura sufficiente, crediamo, i "paesaggi" e le predilezioni dell'arte di Galiano fra gli ultimi anni Quaranta ed oggi.
Variano i soggetti, mutano le tonalità coloristiche, le dimensioni spaziali e la plasticità delle singole opere (si confrontino, ad esempio, i dipinti che portano la data del 1954), ma non scadono mai i pregi d'insieme, prevalentemente formali.
Si evidenziano soprattutto la compostezza segnica, l'equilibrio cromatico e la coesione compositiva nelle nature e negli "interni"; la profondità prospettica quando la visione scenica è più ampia, come nella "Terrazza di Cefaly", nel "Giardino di Rosa Anna" e nel recente "Glicine nel giardino".
Molte altre cose, per un discorso più approfondito e completo, rimarrebbero da dire sulla pregevole pittura di Eugenio Galiano, ma, ripetiamo, siamo convinti che le opere qui presentate possano da sole dimostrare la sua validità.
|
|
|